Dossier
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Nella Cortina di FerroIl primo sovietico a cui fu
diagnosticato il virus Hiv, Nikolaj Panchenko, lavorava alla polizia: era il
1987. Furono dei vicini a rivelare alla moglie la sua inversione sessuale; la loro unione non era più felice da tempo, erano rimasti insieme solo per il bene dei figli, ma quando lei venne a conoscenza della sua omosessualità piombò in ufficio riempiendolo di epiteti poco gradevoli gridando a gran voce, racconta al giornale scandalistico Moskovski Komsomolets. Licenziato e sottoposto a stato di fermo, venne condannato a 4 anni di carcere duro (dopo essere stato sottoposto ai test rivelatori della sua sieropositività) con l’accusa di essere omosessuale e minaccia di contagio. Gli fu impedito di tornare in casa a prendere le sue cose; dall’ospedale venne trasferito immediatamente in una colonia penale fra le più dure ove speravano venisse ucciso dagli altri detenuti, ma quando si accorsero che ciò non sarebbe accaduto lo trasferirono in cella d’isolamento: sei metri per sei senza luce. Privo di cure, Nikolaj aveva con se libri e giornali, le guardie carcerarie temevano che perfino la carta potesse essere veicolo d’infezione e nessuno aveva coraggio di ritirarla. Gli fu fatto dono dell’amnistia a due
soli giorni dalla scarcerazione, una beffa. Fonte: La Stampa
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